Determinismo e indeterminismo in filosofia

Sin dal suo inizio, il pensiero greco ammise l'idea di una Natura conforme a leggi. L'atomismo di Democrito, secondo il quale "da tempo infinito tutte assolutamente le cose passate, presenti e future sono governate dalla necessità", fu la più importante e conseguente concezione del mondo improntata all'ideale deterministico. La visione democritea fu duramente criticata da Platone, il quale, pur non negando l'esistenza in natura dell'operare di una necessità deterministica, sostenne che le spiegazioni dei fenomeni che si fondano su tale idea non possono mettere in luce le vere cause dei fenomeni stessi, che sono di natura ideale, finalistica, e risiedono, in ultima analisi, nel piano intelligente del demiurgo.

Anche Aristotele attaccò l'atteggiamento di Democrito, sostenendo che una piena comprensione della realtà è ottenibile indagando, oltre che la causalità meccanica, cara alla scuola atomistica, anche altri generi di cause, tra cui la causa finale. La complessa teoria della causalità di Aristotele si preoccupa anche di definire i concetti di "fortuna", di "fortuito" e di "caso". Il caso è considerato un semplice nome per indicare l'imprevisto incontro di due catene di rigorose causazioni, dunque non implica alcun indeterminismo. Tuttavia, nell'analisi della legge logica del terzo escluso, Aristotele sembra introdurre un reale elemento contingente nel mondo: la legge del terzo escluso non è applicabile ad affermazioni circa particolari eventi futuri, dunque non si può dire di un evento che si debba necessariamente verificare che esso avverrà o che si debba necessariamente verificare che esso non avverrà.

La dottrina atomistica, per fronteggiare queste critiche e per trovare una spiegazione del libero arbitrio dell'uomo, abbandonò con Epicuro l'idea di una prevalenza totale della necessità nel cosmo, introducendo nel movimento degli atomi un elemento di indeterminismo. L'idea di un inflessibile determinismo operante nel cosmo fu invece ripresa dalla fisica stoica, la quale identificò la Provvidenza divina con l'eterna catena della causalità. Le sottili discussioni sul metodo scientifico, soprattutto su quello aristotelico, che si succedettero durante il Medioevo e il Rinascimento, condussero a una visione della filosofia naturale che, se da un lato non negava il postulato dell'uniformità della natura, dall'altro lato poneva in modo crescente l'accento su di una conoscenza umana dei nessi esistenti in natura solo ipotetica e probabile.

La scienza moderna e il paradigma deterministico

I fondatori seicenteschi della scienza moderna, invece, furono ispirati dalla fede nella possibilità di scoprire la struttura reale della natura. La visione meccanicistica che divenne il fondamento dell'intera scienza del Seicento, facendo coincidere la natura con una perfettissima macchina, presuppone un ordine senza eccezioni, una realtà strutturata secondo rapporti determinati che trovano la loro espressione nella matematica. Per pensatori come Galileo, Keplero, Cartesio, Leibniz, la scienza può e deve impiegare la matematica per portare alla luce l'ordine del mondo in quanto la realtà soggiacente ai fenomeni è matematica. Per essi il principio di causalità, il postulato deterministico, non esprime altro che la convinzione dell'identità tra matematica e natura: a quest'ultima deve inerire la stessa infallibilità che si esprime nelle regole della matematica; senza questa infallibilità la natura non sarebbe penetrabile dal pensiero matematico.

Nell'opera di Newton viene lasciata cadere ogni giustificazione metafisica del matematismo: la matematica ritorna strumento, mentre il determinismo della natura assume la veste di un puro postulato circa una natura semplice e sempre conforme a se stessa senza il quale lo scienziato non potrebbe operare. La diffusione della fisica newtoniana sul continente generò due sostanziali mutamenti nella visione del determinismo fisico: da un lato si assistette a una critica al determinismo su basi empiristiche, dall'altro lato a un suo consolidamento a partire da una prospettiva razionalistica. Nel newtonianesimo olandese ebbe inizio quell'opera di demolizione delle pretese newtoniane di produrre una scienza empirica ma al contempo certa, che sul terreno filosofico verrà condotta all'estremo da Hume.

Verso una scienza del probabile

Il newtonianesimo francese e tedesco fu invece fortemente condizionato dalle tradizioni razionalistiche cartesiana e leibniziana e la meccanica newtoniana divenne parte della matematica, cioè "meccanica razionale". In Eulero e in Bernoulli la meccanica diventa una scienza che si può trattare in modo deterministico con la sola geometria.

Il tentativo dei "meccanici razionali" settecenteschi andò tuttavia incontro a grandi difficoltà e divenne chiara la necessità di dover ammettere due tipi di conoscenza, una certa in quanto razionale, l'altra incerta in quanto empirica. Questa distinzione assunse in Condorcet la forma della distinzione tra conoscenza umana e conoscenza divina. Per Condorcet l'ammissione di una scienza empirica, contingente, accanto a una scienza razionale, implica la necessità di ammettere l'inconoscibilità dell'ordine completo dell'universo, che è accessibile solo a una Intelligenza superiore.

Questa distinzione fu ripresa da Laplace, nel contesto delle sue ricerche astronomiche, in una formulazione rimasta famosissima. Tutti i tentativi settecenteschi di applicare la teoria newtoniana a vari aspetti del sistema solare avevano incontrato notevoli difficoltà e molti problemi si erano rivelati insolubili per via analitica diretta. Le soluzioni, ottenute da Laplace e da altri, furono alla fine conseguite per via indiretta, con metodi di risoluzione approssimata che legarono i successi dell'astronomia al calcolo delle probabilità. Ciò produsse il passaggio da una concezione razionalistica della scienza alla concezione di una scienza approssimata, probabile.

Proprio nell'introduzione alla sua Teoria analitica delle probabilità (1812), Laplace diede tuttavia la formulazione più celebre del determinismo mecccanicista: solo un'Intelligenza superiore che conoscesse in un dato istante posizioni, velocità e forze agenti relative a tutti i corpi dell'universo potrebbe, per via analitica, determinare con precisione assoluta il comportamento passato e quello futuro della macchina del mondo. Per l'uomo questo tipo di conoscenza è impossibile: egli si deve accontentare di conoscenze approssimate, di previsioni solo probabili. L'uso del calcolo probabilistico non conduceva dunque ancora a dubitare, in Laplace dell'esistenza di un determinismo rigido (di tipo meccanico) in natura.
Con gli sviluppi imponenti della fisica l'approccio probabilistico ai problemi della fisica penetrò nella scienza dell'infinitamente piccolo, in particolare in relazione ai fenomeni termici. Con la nascita, poi, dalla teoria cinetica dei gas, nella seconda metà dell'Ottocento, la trattazione probabilistica della fisica molecolare assunse un ruolo fondamentale dal punto di vista sia scientifico, sia metodologico - filosofico.

Per la maggioranza degli studiosi il fatto che la teoria cinetica fosse una teoria essenzialmente probabilistica non implicava però la necessità di pensare il mondo delle molecole come un sistema non deterministico. J.C. Maxwell, uno dei principali artefici della teoria, sosteneva che l'uso del metodo probabilistico era una rinuncia alla completezza delle spiegazioni offerte dalla dinamica imposta dai nostri limiti, ma che nel mondo reale delle molecole, a noi inaccessibile, "ogni cosa è sicura e immutabile".

Il crollo del determinismo

Per Boltzmann, al contrario, il substrato atomico e molecolare dei fenomeni pare essere realmente soggetto al disordine, al caos, e le ipotesi teoriche di natura probabilistica tendono ad approssimare "lo stato naturale", offrendo l'immagine di una Natura non completamente determinata. Nel corso della sua attività Boltzmann non riuscì a essere sempre chiaro circa la portata gnoseologica da attribuire all'ipotesi del disordine molecolare, e anche i prosecutori della sua opera intesero le ipotesi probabilistiche come asserti che si potevano applicare a sistemi molto complessi, ma regolati ancora da un rigoroso determinismo. Con l'inizio del Novecento, poi, la teoria cinetica, sotto l'impulso dell'opera di Gibbs, si trasformò in meccanica statistica, cioè in una teoria completamente svincolata da ipotesi sul reale comportamento delle molecole. Ma il problema del determinismo s'impose con forza all'attenzione dei fisici solo con la formulazione di una teoria che quel determinismo metteva in discussione in forme precise, la meccanica quantistica.  

 



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